Genesi e storia del Battojutsu stile Sekiguchi Ryu

Il fondatore del Sekiguchi Ryu fu Sekiguchi Yorokuemon Ujimune (1598-1670), conosciuto maggiormente col nome di Sekiguchi Jushin. Egli apparteneva al clan Imagawa e sua zia era la moglie di Tokugawa Ieyasu. Di qui la stretta connessione con la famiglia degli Shogun. Jushin, e più tardi i suoi discendenti, svolsero la funzione di “Goryugi Shinan” a capo dell’Han di Kishu (attuale Prefettura di Wakayama), quali servitori di Tokugawa Yorinobu, figlio di Ieyasu. 

Dopo la caduta di Imagawa ad opera di Nobunaga, Jushin dedicò la sua vita alle arti marziali e sviluppò il proprio sistema: la Sekiguchi Ryu. Egli codificò la scuola come sistema di Jujutsu dopo aver appreso le tecniche del combattimento senz’armi da Chin Genpin (Chen Yuan Pin, 1587-1671), un maestro dei metodi cinesi di lotta (Kenpo), nonché ex dignitario della corte cinese, stabilitosi in Giappone intorno al 1638 per sfuggire alla dinastia Manchu. Sekiguchi Jushin creò così il Jujutsu giapponese (uno dei proto-stili in realtà, assieme agli altri codificati dai vari allievi nipponici istruiti da Chin Genpin), ideandone il concetto fondamentale.

Il Battojutsu della Sekiguchi Ryu fu codificato in seguito da Sekiguchi Hachirouzaemon Sanechika (1636-1716) sistematizzando quanto previamente messo a punto dal padre Jushin.

Lo stile di scherma d’estrazione della Sekiguchi Ryu nasce nel periodo Tokugawa come adattamento a nuovi scenari e dinamiche di combattimento con la spada, non aventi più come sfondo il campo di battaglia e le zone rurali, ma le aree urbanizzate della città in via di sviluppo.

Come effetto dell’applicazione del “Sankin Kotai”, ovvero il sistema di residenza alternata dei nobili già descritto nel capitolo precedente,  per cui i Daimyo erano tenuti a rimanere ad anni alterni a Edo con il loro seguito, accadde che le scuole marziali di tutto il paese furono radunate nello stesso luogo, nella persona dei maestri d’armi dei singoli feudatari, e ovviamente dei relativi praticanti affiliati.

I Samurai che avevano perso nel tentativo di presa del castello di Edo, alle dipendenze dei “Tozama Daimyo” (quei nobili che si sottomisero allo shogun Ieyasu Tokugawa dopo aver perso la battaglia di Sekigahara), vivevano gioco forza insieme agli ex-avversari, nella stessa cittadella. Con l’ulteriore aumento della popolazione, i Samurai si trovarono in una posizione di vulnerabilità e caos, esposti ad episodi di “Tsujigiri”. Lo Tsujigiri, letteralmente “uccisione dietro l’angolo della strada”, denomina la pratica di sperimentare una nuova lama su un essere umano. In origine, giustificava il disputarsi di un duello tra guerrieri, ma poi degenerò nel volgare assassinio sotto il pretesto della prova della lama. Erano tempi al quanto difficili, in cui si poteva facilmente cadere vittima di Tsujigiri in nome di vecchie rivalità e risentimenti, semplicemente camminando per le strade o nei dintorni del castello. Di conseguenza molti guerrieri iniziarono a mettere a punto delle tecniche per difendersi in tali situazioni.

Nacquero e si sperimentarono tecniche per adeguarsi a tutte le condizioni di pericolo tipiche del nuovo scenario di conflitto “urbano”, mediante lo sfoderamento rapido, vale a dire: il Battojutsu. Sekiguchi Jushin cercò di sviluppare la sua tecnica, includendo anche quelle di altre scuole (cosa usuale nella genesi di nuovi stili come da capitolo precedente). All’epoca dello Shogun Iemitsu (il terzo della dinastia Tokugawa) si tenevano molti confronti tra scuole di scherma, e Jushin si presentava ai duelli praticando lo stile “Batto” (“dello sguainare la spada”). Solo in seguito, dopo aver fatto una sintesi di quanto creato dal padre, Sekiguchi Sanechika denominò il sistema “Sekiguchi Ryu Battojutsu”.

La Sekiguchi Ryu Battojutsu divenne uno dei stili di scherma favoriti dai Tokugawa. Anche Tokugawa Yoshimune, 8° Shogun, praticò lo stile conseguendo la licenza di Menkyo Kaiden. […]

La Sekiguchi Ryu Battojutsu contiene circa una decina di tecniche da seduti per situazioni d’estrazione in ambiente chiuso, e altrettante per le estrazioni in piedi; si sfoderava di lato, verso l’alto, verso il basso, indietro, voltandosi, orizzontalmente, durante una prostrazione, e così via.


BIBLIOGRAFIA

Maurizio Colonna, Il Cerchio Perfetto, Edizioni dell’Eremo, 2015. (Cartaceo)

Maurizio Colonna, Il Cerchio Perfetto, Volume Edizioni, 2015. (E-book)

QUESTO SITO È STATO CREATO TRAMITE